Considerazioni sulla conquista della pace attraverso il diritto

Non vi è alcun dubbio che la guerra in corso in Ucraina ha prodotto un evidente impatto (emotivo) non soltanto sulle popolazioni come causa “materiale” della guerra guerreggiata, ma anche, e non senza minori conseguenze, sulle costituzioni e gli ordinamenti degli Stati democratici. Evidentemente, una volta cessato il fuoco e trovato il necessario accordo tra le parti, anche l’attuale ordine mondiale ne risentirà, così come pure, il sistema internazionale dei valori che gli ordinamenti liberali hanno negli anni meticolosamente costruito. Appare necessario, pertanto, analizzare alcune categorie del diritto internazionale applicabili all’attuale conflitto, al di là delle formulazioni politiche e/o populistiche del governo russo nel senso di rivendicazioni di attività non inerenti ad una guerra vera e propria, come richiamato “special military operation”, ovvero, azioni che ineriscono sostanzialmente al principio di legittima difesa nei confronti della North Atlantic Treaty Organization (NATO). Quest’ultimo principio, com’è noto, compatibile con il diritto internazionale e, in particolare, con l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (ONU o NU), ai sensi del quale (l’uso delle armi e della forza di aggressione non può essere una regola di diritto internazionale) fatto salvo “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite”. O ancora, la pretesa russa fondata sulla legittima difesa (collettiva) conseguente alla richiesta di aiuto (surrettiziamente) sollecitata dalle due autoproclamatesi Repubbliche Donetsk e Lugansk nel Donbass, peraltro, in quanto riconosciute dalla sola Russia e non ancora sovrani e titolari di tale diritto.

 

Occorre pertanto preliminarmente ricordare che la comunità internazionale, soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, nell’ottica del necessario multilateralismo “pacifista”, si è dotata di meccanismi che riproducono nella dimensione internazionale il sistema della rule of law nei suoi aspetti sostanziali e procedurali.

Coerentemente con tale progetto e adottando quindi una prospettiva kelseniana di “pace attraverso il diritto” (H. KELSEN, Peace Through Law, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1944) ancorché con non poche perplessità sull’applicazione concreta delle norme internazionali negli Stati nazionali e come deterrente “preventivo” dell’uso della forza.

Occorre pertanto inquadrare l’attacco armato della Russia: a) alla luce delle norme internazionali sullo ius ad bellum; b) descrivere la reazione asimmetrica dalle istituzioni internazionali; c) valutare il ruolo delle giurisdizioni internazionali sulla base delle due ipotesi kelseniane della pace garantita dalla giurisdizione obbligatoria e della pace garantita dalla responsabilità̀ individuale. Giacché il diritto internazionale, rectius i suoi valori fondamentali, è parte integrante del disegno costituzionale dello Stato democratico. Poiché il valore internazionale e costituzionale della pace tutela interessi degli individui e dei popoli e non degli apparati di governo, lo Stato democratico dovrà coerentemente consentire ad individui e popoli di avvalersi degli strumenti politici e giurisdizionali per contrastare le decisioni dei poteri costituiti.

Così che il punto di partenza di queste brevi considerazioni prende le mosse della qualificazione dell’attacco armato della Russia alla luce della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale generale, in specie, dalla definizione giuridica dell’uso della forza.

A tal fine, la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 2, parag. 4, della Carta ONU, che rappresenta la pedissequa codificazione del diritto consuetudinario in materia: “I Membri (delle Nazioni Unite, ndr) devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

Tale norma posta nel Capitolo I “Fini e Principi” dell’ONU considera illeciti secondo il diritto internazionale non soltanto l’uso della forza armata “contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite” bensì anche la sola minaccia dell’uso della forza armata. A tale strumento politico la Russia avrebbe fatto ricorso soprattutto attraverso le operazioni militari condotte in più occasioni sul confine russo-ucraino e in occasione del riconoscimento (strumentale) dell’indipendenza delle Repubbliche del Lugansk e del Donetsk. Tali minacce costituiscono una palese violazione del principio del non-intervento negli affari interni di un altro Stato e/o territorio autonomo e indipendente. Quindi, a tal riguardo, appare possibile che la violazione dell’art. 2, parag. 4, sarebbe stata commessa già̀ prima dell’invasione vera e propria del 24 febbraio.

Che aggiungere. La norma generale contenuta nell’art. 2, parag. 4, chiara e precisa, che non da adito a plurime interpretazioni, non permette in nessun caso di essere aggirata, elusa, da espedienti terminologici del tipo “special military operation”.

Non ci sono dubbi che l’attacco armato e l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo costituiscano una violazione dell’art. 2, para. 4, della Carta ONU e della corrispondente norma consuetudinaria. A questa conclusione è arrivata senza esitazione l’AG delle NU nella Dichiarazione del 1° marzo 2022, approvata con il voto favorevole di 141 Stati, nella quale l’attacco della Russia viene senz’altro qualificato come un atto di aggressione.

Non è, invece, chiaro e preciso il concetto di “guerra di aggressione” del quale è possibile fare riferimento nella Risoluzione 3314 adottata dall’Assemblea Generale (AG) dell’ONU il 14 dicembre 1974 e, in ambito giurisdizionale internazionale, nell’art. 8bis dello Statuto della Corte penale internazionale, che lo ricordo, è il giudice che deve accertare la commissione di un crimine individuale di aggressione.

 

Un altro aspetto da considerare riguarda le garanzie assicurate dalle istituzioni internazionali per respingere, secondo il diritto, l’attacco armato della Russia. In realtà, è proprio su questo fronte che si misura non solo l’effettività del diritto internazionale ma anche la sua capacità ad integrarsi con il sistema di valori proprio delle costituzioni liberali.

Mai come in questa occasione si è avvertito il senso della loro inadeguatezza.

Per quanto riguarda gli organismi politici dell’ONU il Consiglio di Sicurezza (CdS) è spesso paralizzato dal veto incrociato dei suoi membri permanenti che, com’è noto, godono del diritto (art. 27) di bloccare una decisione (Usa, Cina, Francia, Gran Bretagna e, ovviamente, Russia). Da tempo si ipotizza una risoluzione dell’AG per far si che i cinque Membri permanenti del CdS, quanto meno, abbiano un “dovere” di motivare il loro uso del diritto di veto. Si tratta di una vetusta ipotesi, più volte riproposta ma mai attuata con l’obiettivo di limitare l’uso arbitrario dello strumento del veto. Che per la verità appare anacronistico.

 

Parte della dottrina a proporre strade istituzionali alternative, appellandosi alle competenze dell’AG, in particolare ai meccanismi di sospensione ed espulsione degli Stati dalla loro qualità di membri delle NU14. Si tratta di strumenti volti ad ottenere l’isolamento internazionale degli Stati cha hanno commesso gravi violazioni degli obblighi statutari. L’Art. 5 della Carta dell’ONU Ma questa sanzione può essere adottata solo contro uno Stato soggetto a misure sanzionatorie da parte del CdS

ricorso ad un diverso tipo d’intervento da parte dell’AG. Si tratta di respingere le credenziali che attestano la qualità di rappresentante di uno Stato impedendo, di fatto, la sua partecipazione alle sessioni dell’organo deliberante. Questa procedura, ad esempio, è stata in passato regolarmente applicata nei confronti del Sud Africa all’epoca dell’apartheid

L’AG non ha poteri coercitivi ai sensi della Carta, ma la sua supervisione conferirebbe maggiore legittimità alle sanzioni unilateralmente adottate dai singoli Stati o organizzazioni regionali.

Si tratterebbe, in pratica, di replicare la funzione che l’AG esercitò all’epoca della celebre risoluzione Uniting for Peace del 1950 per aggirare il veto sovietico nella guerra in Corea

La terza questione da analizzare riguarda il ruolo che possono svolgere gli organismi giurisdizionali internazionali nella ricerca di una soluzione della attuale crisi. Tre sono le ipotesi che vengono in rilievo in questo contesto. In primo luogo, un ruolo di primaria importanza potrebbe essere svolto (e in parte è già stato svolto) dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), organo giudiziario delle NU

L’application si fonda sulla clausola compromissoria prevista nell’Art. IX della Convenzione di New York del 9 dicembre 1948 sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio

Stante la natura consensuale della giurisdizione internazionale, la clausola dell’Art. IX rappresentava, però, forse l’unica opportunità formale a disposizione dell’Ucraina per portare la Federazione russa davanti alla CIG. Per sostenere la giurisdizione della Corte, Kiev è stata costretta a prospettare un’interpretazione assai ingegnosa della Convenzione sul genocidio.

In estrema sintesi, possiamo riassumere il ragionamento ucraino con questo sillogismo: a) per giustificare l’invasione armata, la Russia avrebbe falsamente accusato l’esercito ucraino di commettere atti genocidari nei confronti delle popolazioni scissioniste del Donetsk e del Lugansk; b) per questo motivo, si è instaurata una controversia tra Russia e Ucraina per quanto riguarda l’applicazione e l’interpretazione della Convenzione sul genocidio, così come richiesto dal suo Art. IX; Annessa al ricorso vi è, infatti, un’istanza per l’indicazione di misure provvisorie ai sensi dell’Art. 41 dello Statuto della Corte. Ed è su questa richiesta che i giudici dell’Aia si sono pronunciati con l’ordinanza del 16 marzo 2022

la CIG ha dovuto ovviamente accertare la sussistenza dei requisiti per agire in via cautelare che sono grosso modo simili a quelli previsti dinanzi a qualsiasi tribunale: la sussistenza prima facie della propria giurisdizione, il fumus boni iuris, ovvero un’interpretazione plausibile delle norme pertinenti, l’esistenza di un nesso tra le misure richieste e il diritto di cui si chiede la protezione, e il periculum in mora, ossia il rischio di un pregiudizio irreparabile per il diritto di cui si chiede la tutela.

l’oggetto della controversia non riguarda l’interpretazione della Convenzione sul genocidio, ma l’uso della forza da parte della Federazione russa sul territorio ucraino. Dello stesso avviso è il giudice cinese Xue,

Le misure sono state garantire con provvedimenti di inizio marzo e del 1° aprile e richiedono al governo russo di astenersi da attacchi militari contro civili ed installazioni civili, inclusi alloggi, veicoli d’emergenza, scuole, ospedali, e di garantire l’immediata sicurezza dalle strutture sanitarie, del personale medico e dei mezzi di soccorso nel territorio ucraino.

Ma sappiamo come stanno andando le cose.

Infine, non sussisterebbe, viceversa, la giurisdizione della Corte Penale Internazionale (CPI) in relazione al crimine di aggressione commesso da cittadini russi. L’art. 15bis, para. 5, dello Statuto, infatti, deroga, sotto questo profilo, ai normali criteri giurisdizionali della Corte, precludendo a quest’ultima di conoscere dei crimini di aggressione commessi da cittadini di uno Stato non parte. Dal momento che la Russia non ha ratificato lo Statuto di Roma, nessun cittadino russo può pertanto essere perseguito con l’accusa di aver commesso un crimine di aggressione. Fatte salve altre norme applicabili alla fattispecie e ove fossero riscontrati e documentati crimini di guerra e genocidi.

In questa prospettiva testé delineata ancorché in modo incompleto e non definitivo, il diritto internazionale “plasma” gli ordinamenti e i sistemi costituzionali nazionali nella realizzazione di comuni obiettivi, fondandosi essenzialmente sulla rule of law e in particolare sulla tutela dei diritti umani e dalla pace attraverso la cooperazione giuridica tra gli Stati.

Così che, per quanto a noi attiene, l’art. 11 della Costituzione della Repubblica italiana rappresenta lo scenario preminente sullo sfondo del quale proiettare i rapporti tra diritto interno ed internazionale in questa materia. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità̀ con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità̀ necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.  L’art. 11 “codifica” il c.d. “principio pacifista” che, nella fattispecie della guerra russo-ucraina, rappresenterebbe la base giuridica attivabile per l’invio di armi all’Ucraina giacché l’Italia “ripudia” la guerra (come principio generale e supremo) come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli (minacce, invasione, intervento armato, coinvolgimento della popolazione civile) e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (utilizzo dei sistemi internazionali di risoluzione delle controversie tra Stati). Appare tuttavia indispensabile che l’art. 11, nel caso che ci occupa, sia interpretato in conformità del diritto internazionale, con le pertinenti norme della Carta delle NU e delle altre organizzazioni internazionali/regionali, nel senso di non escludere l’invio di armi come supporto alla difesa e alla autodeterminazione dello Stato aggredito, ovvero, interventi (anche armati) a sostegno di Stati invasi e/o aggrediti il cui uso della forza, in questa fattispecie, non rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale essendo da qualificare, come si è già detto, come una reazione, una contromisura, della comunità internazionale attraverso le organizzazioni internazionali/regionali ad un attacco qualificabile come “aggressione con l’uso della forza militare” ad uno Stato sovrano e alla libertà della popolazione civile.

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