Di diplomazia personale si possono riempire le colonne dei social media pubblici o personali come Truth, una prova di egocentrismo a sottolineare che io sono io. Ma si procede verso l’offuscamento delle prospettive negoziali. I negoziati richiedono riserbo e sobrietà, solo il risultato va reso noto al grande pubblico, il resto è interna corporis.
Dopo mesi di annunci e contro annunci, di ponti transatlantici più presunti che reali, la lettera di Donald Trump a Ursula von der Leyen spariglia la partita, ora il gioco si fa duro.
30% è la cifra magica attorno cui avviare il negoziato per riconsiderare l’enorme deficit commerciale USA rispetto all’Unione europea. La colpa del disavanzo è tutta europea, a causa delle politiche commerciali, delle barriere tariffarie e non tariffarie ordite da Bruxelles nel corso di decenni. Non un accenno alla voluttà americana di comprare europeo, vuoi per il prezzo più conveniente, vuoi per la qualità superiore. Se però i produttori europei decidono di trasferirsi negli Stati Uniti, l’Amministrazione accorderà tutto l’aiuto possibile. Lo scopo non è tanto Buy American quanto compra ciò che l’America produce anche se con la firma europea.
La lettera è correttamente indirizzata alla Presidente della Commissione. Trump riconosce che la politica commerciale è sua competenza esclusiva, ancorché il deficit sia con i singoli stati membri. Uno sviluppo concettuale rispetto alla vulgata americana, e maliziosamente sostenuta da alcuni stati membri, che la trattativa si possa praticare in via bilaterale, ciascun paese a fare valere il proprio tasso di amicizia con gli Americani per avere uno sconto. I Ventisette, tramite la Commissione, sono chiamati a reagire come un blocco e non come singoli. Una prova ultra petita di coesione europea.
Non mancheranno i distinguo. Alcune delegazioni spingeranno per assecondare la controparte, siamo alleati, non possiamo farci la guerra commerciale proprio mentre fronteggiamo la minaccia russa. Altre delegazioni spingeranno per la faccia feroce: ai dazi opponiamo i contro dazi, non ci lasciamo intimidire dalle rodomontate.
Le prime si appiglieranno al tenore tutto sommato collaborativo della lettera, le altre lamenteranno che non ci si comporta così fra alleati. Queste ultime dimenticano che lo stesso trattamento è riservato a Giappone e Sud Corea, i due pilastri del contenimento della Cina in Asia. Per non parlare del Canada che, avendo ribadito l’autonomia anche con il Re Carlo, si vede affibbiare dazi altrettanto pesanti.
La diplomazia personale produce l’altro effetto di spettacolarizzare il rapporto con il Presidente Vladimir Putin. Che bastasse l’apertura di credito dei primi giorni dell’insediamento per piegare il personaggio a più miti consigli, era un’opzione che gli osservatori di cose russe escludevano.
La Russia si ritiene impegnata in una campagna epocale che non ammette il compromesso se non il riconoscimento di un proprio significativo successo. Qualche territorio conquistato, il riconoscimento della sovranità sulla Crimea, non bastano a giustificare oltre tre anni di conflitto e le migliaia se non i milioni di vittime fra i giovani russi e le restrizioni economiche.
Il Ministro degli Esteri Lavrov, in missione in Nord Corea, rinnova l’invito alle truppe nordcoreane ad infoltire i ranghi dell’Armata, nel nome dell’invincibile amicizia fra i due paesi. Un cimitero in Russia sarà dedicato alla memoria degli eroici fanti nordcoreani, un luogo pronto ad accogliere le nuove salme se l’invito a combattere sarà accolto.
La situazione si sta avvitando, si aspettano le dichiarazioni che Trump promette sull’argomento, mentre chiede al Congresso un pacchetto di sanzioni economiche ed ordina al Pentagono di fornire armamenti all’Ucraina, purché pagati dalla NATO. Lo stesso Pentagono aveva appena ammesso di avere gli arsenali praticamente vuoti. Si saranno riempiti nel frattempo, merito dello sforzo industriale bellico.
Il cessate il fuoco a Gaza è dato per imminente. C’è da chiedersi se Benjamin Netanyahu ne sia al corrente e, in caso, sia d’accordo. Il fulcro della vicenda non sta a Washington ma a Gerusalemme. Dove qualcosa si muove. Un sondaggio mostra che l’80% degli intervistati vorrebbe il cessate il fuoco, il prodromo della fine delle ostilità, e la liberazione degli ostaggi, una ventina, ancora in vita.
La Knesset sta per chiudere per la pausa estiva, non c’è tempo per iniziative volte a scalzare il Governo. Alcuni parlamentari dell’opposizione invitano un emissario siriano ed un giornalista saudita. Il siriano Shadi Martini, già direttore dell’Ospedale di Aleppo, riferisce di un messaggio del Presidente provvisorio di Siria: Ahmed al-Sharaa sostiene che il Medio Oriente sarebbe vicino ad una svolta epocale. Il giornalista saudita preconizza la normalizzazione fra Israele e Arabia Saudita, a condizione che cessi il conflitto a Gaza, che si vada verso uno stato palestinese, che Israele punti sulla sicurezza della superiorità militare e sulla coesistenza.