Da alcuni mesi e di fronte alla prosecuzione della guerra in Ucraina – a cui si è aggiunto l?attacco terroristico di Hamas ad Israele il 7 ottobre 2023 e poi le carneficine nella popolazione civile palestinese che il Consiglio europeo del 20 marzo 2025 si è limitato a ?deplorare? ? è ripreso il dibattito sulla difesa europea accelerato dall?arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca.
Il tema della difesa europea divide i governi e le forze politiche ed è apparentemente divisivo anche nel mondo federalista.
Scrissero Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi insieme ad Eugenio Colorni nel 1941 in una parte del Manifesto di Ventotene sfuggita alla esegesi che il parlamentare europeo Nicola Procaccini avrebbe suggerito a Giorgia Meloni:
?Con la propaganda e con l?azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d?ora gettare le fondamenta di un movimento (più avanti definito ?rivoluzionario?) che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali??
Ispirato dal Manifesto, memore del ruolo svolto da Altiero Spinelli e da Alcide De Gasperi al tempo della Comunità Europea di Difesa affossata dai sovranisti di destra e di sinistra francesi nel 1954 e attento alla situazione internazionale nel terzo decennio di questo secolo, il Movimento europeo è decisamente favorevole alla difesa europea.
La difesa europea deve essere uno strumento della politica estera e di sicurezza secondo un modello federale al servizio della pace sapendo che non basta creare una difesa europea per fondare uno Stato federale così come non sono bastate le elezioni europee nel 1979 e la moneta unica nel 2002 per trasformare l?Unione europea in una federazione perché ?l?Europa non cade dal cielo?, non evolve con il gradualismo costituzionale e non scivola su un immaginario piano inclinato.
Abbiamo ritenuto e riteniamo che sia errata la via dei riarmi nazionali suggerita nel Libro Bianco della Commissione europea sia perché i Paesi membri europei non sono disarmati sia perché i riarmi nazionali sarebbero un ostacolo e non un primo passo sulla via della difesa europea.
Non condividiamo per questo quei passaggi delle due risoluzioni approvate dalla Assemblea di Strasburgo il 2 aprile 2025 in cui il Parlamento europeo ?si felicita vivamente? del Libro Bianco ?solido e ambizioso? inizialmente chiamato ReArmEurope ed ora ribattezzato ?European Defence Readiness 2030?.
La difesa europea non deve servire per fare la guerra ma deve essere un deterrente per evitare o rendere impossibili le guerre, per gettare le basi di una autonomia strategica europea anche e non solo come risposta al preannunciato disimpegno di Donald Trump e per rendere finalmente efficienti e inter-operative le forze armate terrestri, aeree e navali europee.
La difesa europea serve per dotarci di strumenti comuni con investimenti in industrie europee come lo scudo spaziale, sistemi antimissile, satelliti europei e un insieme di mezzi, di tecnologie e di procedure tesi alla protezione dei nostri sistemi informatici in termini di confidenzialità, integrità e disponibilità dei beni o asset informatici (la cybersicurezza).
La difesa europea serve per mantenere (keeping), costruire (building) ma anche imporre (enforcement) la pace in Europa e nel mondo grazie alle missioni internazionali europee sotto l?egida delle Nazioni Unite.
La difesa europea deve essere anche civile come strumento di intervento per far fronte alle catastrofi naturali e deve essere accompagnata dalla creazione di un servizio civile europeo che sostituisca il servizio volontario europeo integrando e unificando i servizi civili nazionali.
La difesa europea deve prevedere regole vincolanti sulla vendita delle armi a paesi terzi – legate spesso a corruzione e criminalità e sempre a violazioni dei diritti fondamentali – come strumento per il rispetto dei trattati internazionali sulla limitazione e sulla riduzione degli arsenali militari (armi batteriologiche e chimiche, mine antipersona, munizioni a grappolo, armi nucleari, non militarizzazione di determinate aree, zone denuclearizzate, missili balistici…).
La difesa europea deve essere fondata su un comando unificato nel quadro di una sovranità condivisa come pilastro europeo nella NATO, con procedure comuni di educazione politica-militare, un unico bilancio europeo finanziato da risorse proprie e dalla standardizzazione europea degli acquisti e delle produzioni, sottomessa ad una autorità politica sovranazionale secondo un modello democratico e federale.
Vi sottoponiamo due osservazioni complementari legate al tema della difesa su cui proponiamo di sollecitare l?intervento del Comitato delle Regioni e del Comitato Economico e sociale chiedendo loro di agire facendo uso delle prerogative che consentono di emettere pareri se lo giudicano opportuno (articoli 304 e 307 TFUE) con la necessaria urgenza invitando ad un dialogo aperto le organizzazioni rappresentative della società civile.
La prima osservazione riguarda il controllo democratico sugli atti normativi che la Commissione europea intende presentare per dare seguito al suo piano di riarmo.
Il controllo democratico riguarda sia il Parlamento europeo che i parlamenti nazionali ma anche i poteri locali e regionali nel loro ruolo di consultazione esercitato attraverso il Comitato delle Regioni da una parte e i partner sociali con le organizzazioni rappresentative della società civile attraverso il Comitato Economico e Sociale dall?altra.
Se venisse accolta la proposta della Commissione europea di usare come base giuridica l?art. 122 del Trattato sul funzionamento dell?Unione europea il Presidente del Consiglio si limiterebbe ad informare il Parlamento europeo sulle decisioni prese.
E? stupefacente il fatto che il Parlamento europeo, ?felicitandosi? del nuovo strumento per un?azione di sicurezza per l?Europa (SAFE), si sia limitato a ?deplorare il ricorso all?art. 122 del Trattato sul funzionamento dell?Unione europea e l?assenza di partecipazione del Parlamento europeo? (par. 75 della risoluzione approvata a Strasburgo il 2 aprile 2025) dimenticando che le basi giuridiche dei regolamenti del NGEU consentirono di applicare la procedura legislativa ordinaria con il coinvolgimento dei parlamenti nazionali ed i pareri del Comitato delle Regioni e del CESE.
La seconda osservazione riguarda quel che potremmo chiamare un ?buio fitto?.
Su proposta del vicepresidente Raffaele Fitto e del commissario Dan Jorgensen, è stato presentato dalla Commissione europea un progetto di revisione a metà percorso della politica di coesione economica, sociale e territoriale, che comprende anche i fondi per le strutture agricole e che riguarda la programmazione 2021-2027, con l?obiettivo di consentire agli Stati che lo vorranno di usare quei fondi per investimenti nelle infrastrutture e nelle tecnologie previste per un doppio uso militare e civile ma anche per la ?sicurezza? delle frontiere e cioè la lotta all?immigrazione illegale, per sostenere grandi imprese pubbliche e non solo piccole e medie imprese, per consentire finanziamenti al 100% e un prefinanziamento del 30% sulle spese militari.
La difesa o, meglio, il riarmo diventerà così una delle cinque priorità strategiche dei fondi di coesione insieme alla competitività, agli alloggi, alla resilienza idrica e alla transizione energetica.
Tutto ciò rischia di ridurre gli interventi a sostegno delle aree interne e creare un problema di equità nella distribuzione territoriale dei fondi e diseguaglianze nel sistema degli aiuti di stato oltre che mettere in discussione l?obiettivo della coesione fissato dall?art. 3 del Trattato sull?Unione europea e dagli articoli 174-178 del Trattato sul funzionamento dell?Unione europea che riguardano le regioni meno favorite, in ritardo di sviluppo e di riconversione delle regioni industriali in declino.
Il ?buio fitto? rischia di stravolgere non solo la programmazione finanziaria 2021-2027 ma di estendersi alla nuova programmazione finanziaria dal 2028 se la Commissione europea decidesse di usare questo pessimo esempio per gli orientamenti che presenterà nel prossimo luglio e se Parlamento europeo e Consiglio decidessero di darle semaforo verde.