Cade il «retaggio della concezione patriarcale della famiglia». «L’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento (anche internazionale e comunitario) e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna»[1].
Ora il testimone passa al legislatore giacché è sua competenza regolare tutti gli aspetti connessi alla importante e “rivoluzionaria” decisione.
La Corte costituzionale adita dal Tribunale ordinario di Bolzano ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale delle norme che regolano, nell’ordinamento italiano, l’attribuzione del cognome ai figli. In particolare, la Corte si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo dei genitori, impone il solo cognome del padre anziché quello di entrambi i genitori.
Le fonti normative coinvolte nella questione sono variegate e complesse.
Viene in rilievo come sollevato dal giudice a quo l’art. 262, primo comma, del codice civile, nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi del riconoscimento contemporaneo del figlio – non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno[2]. Ad avviso del giudice rimettente, la norma de qua si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e agli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Carta UE”), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Quindi sono coinvolte fonti nazionali, internazionali (CEDU) e comunitarie o “unionali” (“Carta UE”).
Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere in ordine al ricorso proposto dal pubblico ministero presso il Tribunale di Bolzano, ai sensi dell’art. 95 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), al fine di ottenere la rettifica di un atto di nascita, dal quale risultava che i genitori, consensualmente, avessero attribuito alla figlia il solo cognome materno. Così che – secondo quanto espone l’ordinanza – la dichiarazione veniva trasmessa all’ufficiale dello stato civile che ha redatto l’atto di nascita riportando il solo cognome materno; ma, al contempo, il medesimo ufficiale
[1] Cfr. già le sentenze n. 286 del 2016 e n. 61 del 2006 e le ordinanze n. 176 del 1988 e ordinanza n. 145 del 2007.
[2] Ricordo a me stesso: “Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre”.
presentava un’istanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano, affinché venisse promosso il giudizio di variazione dell’atto di nascita, onde renderlo conforme a quanto previsto dall’art. 262, primo comma, secondo periodo, cod. civ., per effetto di una precedenza sentenza della Corte costituzionale in particolare la n. 286 del 2016. Con atto depositato il 28 luglio 2020, è intervenuto in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto di dichiarare le questioni inammissibili e, in ogni caso, non fondate.
Le norme esaminate sono state dichiarate illegittime dalla Corte per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione dei diritti dell’uomo (CEDU).
La Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre ai sensi dell’art. 262, primo comma, codice civile. Secondo la Consulta l’automatica attribuzione del solo cognome paterno “si traduce nell’invisibilità della madre” ed è il segno di una disuguaglianza fra i genitori che “si riverbera e si imprime sull’identità del figlio”. L’illegittimità costituzionale è stata estesa anche alle norme sull’attribuzione del cognome al figlio adottato.
La Corte ha chiarito che il cognome “collega l’individuo alla formazione sociale che lo accoglie tramite lo status filiationis”, “si radica nella sua identità familiare” e perciò deve “rispecchiare e rispettare l’eguaglianza e la pari dignità dei genitori”. Lo stesso, eventuale, accordo fra i genitori per attribuire un solo cognome presuppone una regola che ripristini la parità, poiché senza uguaglianza vengono meno le condizioni per un accordo reale ed effettivo. Il cognome del figlio “deve comporsi con i cognomi dei genitori”, nell’ordine dagli stessi deciso, fatta salva la possibilità che, di comune accordo, i genitori attribuiscano soltanto il cognome di uno dei due. Sarebbe, infatti, in contrasto con i principi costituzionali invocati impedire “ai genitori di avvalersi, in un contesto divenuto paritario”, dell’accordo per rendere un unico cognome segno identificativo della loro unione, capace di farsi interprete di interessi del figlio.
In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità̀ con quanto dispone l’ordinamento giuridico.
La Corte ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. Di conseguenza ha rivolto un duplice invito al legislatore. In primo luogo, ha auspicato un “impellente” intervento per “impedire che l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sarebbe lesivo della funzione identitaria del cognome”. A tal riguardo la Corte ha altresì precisato che proprio per la funzione svolta dal cognome, è opportuno che il genitore titolare del doppio cognome scelga quello dei due che rappresenti il suo legame genitoriale, sempre che i genitori non decidano per l’attribuzione del doppio cognome di uno di loro soltanto. Infine ha rimesso alla valutazione del legislatore “l’interesse del figlio a non vedersi attribuito – con il sacrificio di un profilo che attiene anch’esso alla sua identità familiare – un cognome diverso rispetto a quello di fratelli e sorelle”. Anche al riguardo la sentenza segnala una possibile soluzione, vale a dire, la scelta del cognome attribuito al primo figlio sia vincolante rispetto ai figli successivi della stessa coppia.