Israele e la guerra ad ampio raggio. Politica out, ormai parlano solo i ‘Carlo’

di Cosimo Risi

La soluzione politica in Medio Oriente è di là da venire, avanza la soluzione militare, ora assortita dalla guerriglia. È nella tradizione delle formazioni minoritarie battere la via della guerriglia: agguati, attentati terroristici. Non si può affrontare il nemico sul campo, si semina il panico al suo interno.

L’attentato a Gerusalemme è esemplare. I due terroristi – Carlo alla mano, Carlo è il nomignolo quasi affettuoso del mitra fatto in casa con gli scarti dei fabbri, impreciso quanto micidiale a breve distanza – montano sull’autobus alla fermata, uccidono e feriscono un certo numero di passeggeri, sono uccisi a loro volta. Le immagini mostrano gli altri passeggeri tentare la fuga, le forze di sicurezza, pare un soldato ed un colono armato, freddare gli assalitori.

Le IDF spianano quel che resta al suolo degli edifici bombardati dall’IAF, compresi i grattacieli che lo Shin Bet vuole presidio di Hamas. I guerriglieri sbucano dai tunnel ancora intatti, uccidono quattro soldati fra i 19 ed i 21 anni. La campagna di Gaza costa vittime ed insicurezza. La lotta senza quartiere al terrorismo, la bandiera del governo di destra, innesca una nuova, e vecchia, forma di insicurezza.

Gli attentatori dell’autobus vengono dalla Cisgiordania, dai villaggi che le IDF presidiano da remoto e che ora si apprestano a punire. Distruggeranno le case dei loro familiari, così generando nuovo attrito anche presso chi è ignaro, fino a prova contraria, delle intenzioni omicide del congiunto. Se sono tutti terroristi, attuali o potenziali, nessuno si salva dalla repressione.

L’attacco ai leader di Hamas in Qatar segna una svolta nella strategia di Israele. Mai finora si era spinto a violare la sovranità di un paese non amico né nemico, situato nella zona grigia della cooperazione economica e dello scambio di personale, vagamente in procinto di aderire agli Accordi di Abramo. L’Emirato ospita la più grande base americana nella regione, i suoi rapporti con gli Stati Uniti, e personalmente con Steve Witkoff, sono consolidati. L’attacco esibisce la ulteriore prova dell’efficienza militare israeliana, ma non avrebbe prodotto l’effetto desiderato. Forse informati in anticipo da una voce amica, i leader di Hamas avrebbero lasciato la riunione prima che l’edificio fosse colpito.

Restano aperti gli interrogativi: se gli Usa, avvertiti, abbiano dato il via libera; se il Qatar sia stato informato. Di certo restano le scorie politiche.

Sono scontate le critiche della comunità internazionale, d’obbligo sono i richiami delle potenze sunnite al rispetto della sovranità dell’Emirato. Il Qatar si dichiarava stanco della mediazione nella crisi degli ostaggi e trovava ormai ingombrante la presenza dei leader di Hamas in esilio. Intendeva abbandonare l’esercizio, ora quella intenzione avrebbe il motivo per scattare subito. Il che significa lasciare gli ostaggi alla loro sorte. È quanto temono i familiari in Israele. Il Capo di Stato Maggiore IDF, già consapevole dei rischi di condurre la campagna di Gaza durante la loro prigionia, avrebbe ulteriori ragioni di dubbio.

Si apre uno scenario nuovo, dagli esiti per ora imprevedibili. La sola ragionevole ipotesi è che Israele non crede più, se mai ci ha creduto, alla pista negoziale per liberare gli ostaggi. L’opzione militare è la sola sul tappeto.

Cosimo Risi, già diplomatico, è stato da ultimo Ambasciatore d’Italia in Svizzera. Attualmente insegna Diritto Internazionale all’Università di Salerno e Relazioni internazionali  al Collegio europeo di Parma. Fa parte dell’Advisory Board di Italia.co. Il suo ultimo libro è Terre e guerre di Israele. Sette anni di cronache mediorientali (Luca Sossella Editore, 2024)

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